La mia Arca canta nel sole. Alla fine dell’estate benedetta da Dio. E il diluvio, ora fiorisce. Dylan Thomas
Nella mitologia la confusa furia del cielo e del mare è spesso considerata una punizione di divinità adirate, perché rivelano l’esistenza di forze imprevedibili fuori e dentro di noi. Eventi per i quali noi umani perdiamo i contatti con i valori comuni e secondo le leggende riusciamo a sopravvivere grazie a previdenza, astuzia o fortuna, facendo attenzione ad avvertimenti simbolici e onirici. In molte storie un’unica famiglia o un piccolo gruppo di animali inizia una nuova vita, al termine di una tempesta. E’ il primo passo per una rinascita.
In alcune mitologie il diluvio è un elemento che ritorna e rappresenta un’abluzione cosmica e un nuovo inizio. Così come nel mito sumero di Atrahasis e in quello babilonese dell’ Epopea di Gilgamesh, e poi in quello di Noè, anche i nostri antenati sperimentavano periodi di grande stress che a un certo punto venivano spazzati via, per ritornare a vivere forme più semplici dove sopravviveva la pura gioia di esistere, i sentimenti d’amore e condivisione e la vitalità di un momento nuovo e creativo.
La mitologia dell’Arca, che mette in scena il potere di Soffio creativo contro l’inerzia distruttiva della terra, è paragonabile all’immagine di una eiaculazione, dove ad ogni orgasmo, l’uomo manda a morte milioni di se stesso, dei quali, nel migliore dei casi, solo uno raggiungerà il suo obiettivo; ma questo singolo sopravvissuto può essere all’origine di una prole per un tempo lunghissimo. Simbolicamente in questa leggenda tutti gli esseri creati da Dio dovranno perire, tranne uno, Noè, che sarà responsabile della riprogrammazione di tutti gli altri.
La mitologia del diluvio si oppone, in questo modo all’inevitabile avvizzimento delle cose terrene. E questo potere delle acque celesti che inondano la terra, è una metafora della fertilità paterna. Poiché Noè, la sua famiglia e gli animali simboleggiano il seme con cui verrà rigenerata l’umanità, il Creatore in accordo con la metafora dell’eiaculazione divina che simboleggia il Diluvio, si esprime come un uomo che, avendo fecondato sua moglie, si assicura che nessun altro possa penetrarla: chiude la porta. Il che, in altre parole, significa che chiude il “tempio” che nasconde, lui o il suo Soffio.
Attribuendo alla grandissima popolazione dei discendenti di Adamo un ruolo simbolicamente simile a quello giocato dai milioni di spermatozoi destinati a morire nella rigenerazione della specie, la mitologia dell’arca installa Noè come padre dell’umanità, senza eliminare Adamo. Non lo priva del suo ruolo o ruolo precursore, perché la storia del Diluvio e della Torre di Babele stabiliscono un ponte tra la funzione di Adamo e quella di Abramo. Lungi dal sostituire Adamo, Noè lo ripete: dieci generazioni lo separano da Adamo e altre dieci da Abramo. Così incorniciato dal simbolismo del Dieci che è quello del Soffio creativo, Noè è ancor più chiaramente degli altri due, presentato come il prescelto di Dio: l’eroe rigeneratore dell’interprete umano. Dio, mentre nel creare Adamo stava compiendo un atto originale, affidando a Noè questa missione, lo mette al centro di un processo di duplicazione.
Jahve ordina a Noè di salire nell’Arca con tutta la sua famiglia. Tutti gli esseri umani e tutte le bestie che salgono nell’Arca, sono simbolicamente i semi con la quale il Creatore incomincia a rigenerare l’umanità. Nel giardino dell’Eden, dopo aver ricreato Adamo e aver estratto Eva dalla sua costola, Dio materializza gli animali. In questa maniera indica che l’uomo è un mammifero tra gli altri, che pone la sua parte impura nella dimensione animale della sua costituzione e il sacrificio di uomini e animali ugualmente qualificati come puri, diviene l’olocausto dove Noè compie un omaggio al Creatore, e dove le creature pure non sono quelle adatte o destinate, perché gli animali e gli uomini formano una sola entità, il seme divino.
Gli unici animali che in questo mito vengono considerati puri sono gli uccelli: “Degli uccelli del cielo anche, sette per sette, maschio e femmina, per vivificare un seme sulla faccia della terra.” Di tutti gli esseri creati da Dio i volatili che percorrono i cieli sono, in effetti, gli esseri che vivono più vicini a lui. È infatti agli uccelli, al corvo e alla colomba, che affiderà il compito di annunciare la recessione. Ma soprattutto comparata alle altre specie, la sessualità degli uccelli è quella che evoca meglio la concezione biblica della riproduzione umana. Gli uccelli formano non solo delle coppie stabili e fedeli, ma le loro manifestazioni amorose sono ricche e sorprendenti. Mentre il coito è estremamente veloce, la sfilata è una lunga danza di salti, becchi, movimenti di coda o ali che, abilmente orchestrati, danno l’impressione che l’unione sessuale sia, tra loro, preceduta da una lunga e importante chiacchierata, in un linguaggio in codice tanto preciso quanto raffinato.
La purezza delle “bestie” che entrano per sette è non solo, quella dei volatili, ma anche quella del solo mammifero di cui la sessualità nel linguaggio, evoca quella degli uccelli: l’uomo. Inoltre, di tutte le “bestie” che vi si imbarcano, a parte gli uccelli, gli unici che vengono contati come sette, sono i membri della famiglia di Noè che il Creatore gli ha comandato di far salire: i suoi tre figli, le loro mogli e se stesso.
I versetti che seguono quest’ordine di Dio, annunciano che il diluvio avrà luogo sette giorni più tardi, precisando che Noè avrà all’epoca seicento anni. Questo, nella metaforica qualità delle cifre, significa che la rigenerazione dell’umanità, dopo il “diluvio”, riprende lo stesso cammino di quello della creazione dell’uomo. In realtà, ci sono voluti sette giorni prima che Adamo potesse prendere in mano un progetto che era originariamente il progetto di Dio. Noè deve attendere sette giorni prima di poter vivificare il seme che lui, la sua famiglia e gli animali rappresentano. La prima Creazione è durata sei giorni. Noè ha l’età di “sei volte dieci volte dieci” quando Jahve scatena il diluvio. In altri termini, la mitologia dell’arca è, a livello collettivo e sociale , la ripetizione del giardino dell’Eden dove, il settimo giorno, l’uomo viene dotato di un corpo.
Il testo sacerdotale associa il diluvio alle qualità delle cifre che si ripetono: il Dieci al Sette, il Soffio creatore alla vita della terra. E l’inno d’azione della terra comincia con un “dieci e sette” e termina con un “dieci più dieci e sette”: il simbolismo di questi numeri significa che il Soffio divino ha trionfato sull’inerzia della terra. Il manoscritto yahvista, nel quale la durata del diluvio è di quaranta giorni, l’associa invece al Dieci e al Quattro. Quarant’anni equivale a quattro volte dieci, l’associazione di questi due cifre evoca il fiume del giardino dell’Eden e i suoi quattro bracci che si riversavano a terra.
I simbolismi numerici dei due manoscritti quindi, a livello dei Dieci e dei Sette, ma anche del Tre, si ritrova quindi nella qualità della riproduzione, poiché la recessione è, in uno punteggiata dalla tripla ripetizione del “dieci e sette”, e nell’altro da tre aspettative di sette giorni. Ciò indica ancora di più che la costruzione della nuova umanità, in gestazione nell’Arca, riproduce quella dell’individuo.
Come affermano anche autori quali Rudolf Steiner e Sigmund Freud, l’evoluzione degli esseri umani è impostata in una successione di cicli di sette anni, dei quali i tre primi sono, nell’opera di Freud, quelli dove si effettuano il passaggio dall’infanzia all’età adulta: l’Edipo, il periodo di latenza e l’adolescenza. Ma come è successo ad Adamo, i tre cicli dei sette anni, perché divengano maturi e venga così scacciato dall’Eden, deve scandire, tre volte “dieci e sette” e altre tre attese di sette giorni, perché sia di nuovo cadenzato il tempo necessario perché la nuova umanità rinasca dalle acque profonde in cui è stata inghiottita.
Il simbolismo dell’emergenza delle acque fetali, il liquido amniotico, è sottolineato dalla dualità nera e bianca degli uccelli responsabili dell’annuncio della recessione. Nero, come le acque matrici, il corvo non può fornire a Noè alcun messaggio: niente che possa evocare il Verbo creatore. Allorché, bianco come il giorno, la colomba riporta il segno che il Soffio creatore ha ritrovato i suoi diritti.
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Elisabetta Adele Ziliotto