“Ciò che nei miti si presenta inverosimile, è proprio quel che ci apre la via della verità. Quanto più paradossale e straordinario è l’enigma tanto più pare ammonirci a non affidarci alla nuda parola, ma ad affaticarci intorno alla verità riposta.” Imperatore Giuliano l’Apostata
Uno dei paradossi che marchiano la storia dell’Antico Testamento è che, in un certo modo, non e mai stato permesso per secoli, lo studio e la diffusione di questo Libro. La Chiesa cattolica in effetti non ne ha mai favorito la lettura. A lungo ha impedito che si scoprissero altre cose che non fossero i dogmi latini, e il suo seguito di indulgenze e di compromessi ne è la prova. Le varie Riforme non hanno fatto che aggravare ciò. Quello che la Chiesa con forza affermava in passato è che la lettura della Bibbia non era strettamente necessaria a tutti, né sempre conveniente per persone impreparate o “caratterialmente volubili”, come spiriti increduli, ignoranti o instabili, dato che queste persone potevano fraintendere le Scritture e travisarne il significato, scivolando nel dubbio e nell’eresia. Quindi come una “madre amorevole”, ne vietava l’uso ai quei figli che potevano abusarne. In Francia ad esempio, sotto Luigi XIV, possedere un esemplare di Bibbia poteva portare in prigione, testimoni ne furono gli Ugonotti che non sapevano più come nasconderle all’assiduità dei soldati che perquisivano i loro armadi e sfondavano i loro pavimenti di legno. Sapendo che le acconciature delle donne erano sacre, si misero così a confezionarle sempre più minuscole e all’arrivo dei gendarmi, le nascondevano tra i capelli. E in tempi di ignoranza, di eresie e di scismi, la Chiesa cattolica limitava e controllava inoltre tutte quelle bibbie considerate sospette, dato che non avevano note, o mancavano di approvazione ufficiale, o ancor maggiormente erano edite da stamperie anonime e scritte in lingua volgare o in dialetto.
In questo periodo la religione ufficiale considerava il Libro come scritto da Mosè e tutti gli autori come Spinoza o Richard Simon, che tentarono di provare il contrario, furono messi all’Indice o loro ingiunto di abiurare i loro scritti. Oggi sappiamo che la Thora, il testo ebraico dell’Antico Testamento si compone di quattro testi più antichi, i Libri delle cronache della Bibbia, ritenuti canonici o apocrifi dalle religioni ufficiali, che furono riuniti nel V secolo a. C. da Esdra, o da uno dei suoi collaboratori. I più vecchi, i manoscritti elohista e jahvista (922-722 a. C.) riportano la storia e la discendenza degli eroi biblici. I più recenti, come il Deuteronomio (quinto libro della Torah) e il testo sacerdotale (722-587 a. C.), sono più che altro dei testi di legge dove non si menzionano né angeli, né nessun’altra divinità animale, come ad esempio il Serpente del giardino dell’Eden.
La coerenza numerologica che articola e unifica le narrazioni, spesso diverse dei manoscritti jahvista e sacerdotale, è decisamente significativa. Nell’insieme la Bibbia è un manoscritto sacerdotale che occupa il triplo dello spazio degli altri. Nella Genesi, in compenso, il manoscritto jahvista è predominante, dato che riporta la storia propriamente mitica delle origini dell’umanità e da dove provengono la maggior parte delle immagini assimilabili ad immagini oniriche. Ecco quindi che, staccandosi da tradizioni religiose che l’hanno ridotta e fossilizzata, ci si può avvicinare a quest’opera, avendo ben chiaro che le religioni monoteiste si sono spesso appropriate dei miti della Genesi che non appartenevano loro, ma provenivano da una religione ben più vecchia, dove il credere in Jahvè non era ancora dissociato da quelle, animiste, che caratterizzavano l’epoca e la storia delle religioni di “Crescita fertile”. E considerando che la loro redazione precede di più secoli quella della Thora, questi miti devono essere valutati come un patrimonio del mondo occidentale, che non ha più l’esclusiva sui mussulmani, i cristiani e i giudei.
Non parlando più l’ebraico, il greco e l’aramaico che sono le lingue con le quali i testi antichi erano scritti e basandosi solo sulle traduzioni della Bibbia, ci si accorge che quelle che tentano di restituire il senso originale, seppur edulcorate di tutto il mordente filosofico e sociale, sono piuttosto rare.
Ecco quindi che lo scoprire che la Genesi è un’opera di una potenza e di una forza teorica stupefacente, mi ha aiutato incredibilmente nel percorso di analisi della psiche mia da bambina, della mia famiglia e delle persone con la quale condivido oggi rapporti lavorativi d’aiuto, sostegno e partecipazione.
Osservando come la mitologia dei discendenti di Adamo e di Noè presentino diverse modalità con le quali lo spirito e la parola di Dio si è tramandata alle generazioni successive, questo testo appare come un’opera di una teoria trans-generazionale magistralmente ben pensata che torna a far posto non solo nelle trasmissioni personali di ognuno di noi, ma anche in quelle sociali e collettive, di popoli e civiltà. La comprensione della concezione dello sviluppo del bambino può quindi essere implicata, non solo ai genitori, ma anche ai loro ascendenti e non in un’opera individuale, ma trans-generazionale.
Nella valanga di sorprese concernenti la drammaturgia del testo, tra le chiavi di lettura che sottolineano la sua potenza psicologica, politica, sociale, quella che mi resta ancor oggi incomprensibile è perché la traduzione religiosa di questo scritto, che ci hanno propinato fin da piccoli e che nell’uso comune della parola è divenuto il Libro per eccellenza, tanto da veder paragonare ogni successivo edito, importante, ‘insegnante’ e dogmatico per ognuno di noi, quale una vera e propria, personale “Bibbia”, abbia mai trattato del simbolismo dei primi numeri. Eppure questi sottolineano la “teoria” nella quale concordano il corpo e lo spirito, quando nacquero i miti di questa Narrazione. Ecco perché questo, sommato al modo in cui la traduzione ecumenica, comune a tutte le religioni cristiane e che non differisce da quelle giudee e mussulmane, dove è stata impressa una ideologia personale, ha fatto sì, che fin da piccoli, ci fosse “vietato” cogliere come la mitologia dei discendenti di Adamo e di Noè potesse illustrare chiaramente la teoria biblica delle trasmissioni paterne.
Nel quinto versetto dei Dieci Comandamenti, “Onora tuo padre e tua madre affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che il Signore tuo D-o ti ha dato”, Ramban , spiega che la Thora non definisce il grado di “onore” dovuto al Genitore ultimo D-o e sottolinea che uno li deve compiere nonostante i suoi sentimenti personali o la sua sensibilità. E in questo comandamento viene posta prima la figura paterna, perché è naturale per un figlio temere più il padre che la madre. E fino a che punto e per quanto tempo una persona deve spingersi con il timore e la reverenza? Ramban suggerisce che un figlio rispettoso accetta le tradizioni insegnate dai propri genitori e assicura che siano tramandate. Più a lungo vive tale figlio fedele, più possibilità avrà di trasmettere le tradizioni e gli insegnamenti degli avi, generazione dopo generazione.
Ecco quindi che in questo versetto si può evincere come Dio, dopo aver interdetto la venerazione degli idoli, presenti e riesumi gli errori che concernono la trasmissione del soffio paterno, quelli che implicano la parola o il sesso e che si trasmettono su tre o quattro generazioni.
Seguendo la lettura profonda della traduzione dello scrittore e filosofo francese Nathan André Chouraqui, che si è impegnato tenacemente nel dialogo inter-religioso tra Ebraismo, Islam e Cristianesimo ho trovato, nel suo impegno a metter luce nelle radici comuni, una delle traduzioni più attinente e che sentivo potesse dare più risposte alle eterne domande su nascita, vita, morte. Formarsi, trasformarsi, eterno gioco dell’eterno senno.