La realtà della memoria

La grande dea Mnemosine è terreno cosmico di auto-richiamo che, come fonte eterna non cessa mai di sgorgare e porta alla luce immagini mitopoietiche che risvegliate, ci riuniscono ai nostri antenati.

Quando parliamo di memoria non possiamo che parlare di Tempo, perché è la radice più profonda della soggettività, della memoria, dell’essere persona e risiede nel percorso che la materia di cui siamo fatti lascia dietro di sé e che la identifica sempre nonostante i cambiamenti che subisce.

Il tempo è la forma essenziale della vita che sorge e tramonta, e anche quando tutta la nostra famiglia non sarà più vivente, possiamo tranquillamente affermare che continua a perpetuarsi in noi come potente essenza del nostro Albero genealogico, sotto forma di qualità, ma anche di patologie, che solo una lucida indagine a ritroso può disinnescare.

Tutti sappiamo che siamo un prodotto della famiglia, eppure il più delle volte ci sforziamo di capire solo il legame che abbiamo con i nostri genitori, fratelli e tutt’al più con dei nonni se vivono con noi. Ma come è possibile capire il rapporto con nostra madre senza evocare la sua storia con suo nonno, bisnonno, ecc? Questi sono i silenziosi padroni di un fato che non abbiamo mai conosciuto.

L’ idea che il nostro destino possa essere concretamente determinato dalla storia psicologica delle generazioni precedenti è però molto antica: lo attestano tutte le terapie arcaiche inventate dall’ uomo, da quella cinese a quella africana, che a differenza di quella occidentale, hanno sempre considerato la malattia nel suo contesto genealogico.

Tutti proveniamo da almeno un istante d’amore tra un uomo e una donna, ma i nostri genitori erano consapevoli della quantità di problemi che si preparavano a trasmetterci?

Se il medico occidentale ha sempre risposto “scientificamente” a malattie quali gastriti, epatite o altro, ricercando le cause in virus o cibi avariati, i guaritori tibetani, cinesi o gli yoruba sanno bene che la legge della genealogia e il rapporto con gli avi, determinano in ampia misura i legami, i diritti, i doveri e le identità che strutturano l’ individuo all’ interno della sua cultura e della sua storia personale. E di conseguenza forniscono risposte atte a ristabilire l’ ordine delle cose, sul piano cosmico, restituendo dignità ai dimenticati e agli esclusi.

Tutti siamo il prodotto di un lignaggio e ogni volta che affrontiamo un disagio dobbiamo interrogarci non solo sulla modalità il come, e sulla localizzazione spaziale il dove, ma soprattutto sulla localizzazione temporale il quando. Perché è il quando che apre la strada alla sorgente del conflitto emozionale, il perché.

Il perché è sempre localizzato in un punto del tempo, recente o remoto, dove siamo stati esposti in modo diretto (la nostra storia biografica) o indiretto (la nostra storia familiare) ad un’ esperienza traumatica. Questo spiega perché molto spesso la mente non è in grado di trovare la giusta connessione tra malessere corporeo o psichico e conflitto a monte.

Il nostro inconscio, che per Jung non è solo l’ombra, ma una prodigiosa riserva di energia creativa, ci “prende in giro” attraverso i nostri antenati. Ognuno di noi applica in tutti i momenti della vita delle memorie che non conosce, che non vede e quindi che non comprende nella realtà di ciò che sta succedendo.

Lo studioso francese Jean Claude Badard distingue il conflitto in programmante, cioè il primo incontro con il problema e scatenante la riesposizione al problema, che determina l’ esordio di una malattia o di un comportamento particolare.

Il divario tra realtà e verità è la misura della nostra malattia. Se noi riportiamo la nostra verità personale di fronte alla nostra realtà della memoria, e le sovrapponiamo, allora guariamo.

Se ha un senso la lettura psicogenealogica degli eventi familiari e credo fermamente che lo abbia, ciò presuppone l’esistenza di un inconscio che viene trasmesso attraverso il patrimonio genetico con la persistenza di sequenze emozionali inconcluse.

Il corpo è la sede dell’ inconscio e di conseguenza i messaggi appropriati, che analizzano la nostra biografia transgenerazionale, possono favorire la liberazione delle energie bloccate e, attraverso la “messa in scena”, spezzare il cerchio infernale delle ripetizioni.

Alcune persone cercano di liberarsi della famiglia con la fuga perché la sentono come un pericolo mortale, come se la storia della loro ascendenza fosse una maledizione. Può darsi che il pericolo non sia pura fantasia, ma fuggire non serve, dato che ovunque noi andremo, la storia familiare ci seguirà e ci condurrà continuamente a ripetere gli stessi scenari, benché non decisi da noi, per disinnescare i nostri ancoraggi transgenici logici negativi.

Ovunque siete, portate con voi la vostra famiglia. Beneditela, ma liberatevene!

Grazie

Elisabetta Adele 

elisabetta.ziliotto@yahoo.it

Immagini di proprietà del web

Per saperne di più 

Rialland, Chantal, 1996. Cette famille qui vit en nous. Marabout, Paris

Badard J.C., 2005 La biologia del comportamento e della malattia. Appunti, Torino

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Elisabetta Adele Ziliotto

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